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Qualche cenno storico.
Il Reggimento è uno dei più antichi e gloriosi della Cavalleria italiana.
Le sue origini risalgono alla fine del ‘600, quando avviene la trasformazione delle Gens d’Armes, formazioni di cavalleria pesante ancora dalle caratteristiche privatistiche e legate da rapporti feudali al sovrano, in reparti permanenti direttamente dipendenti dallo Stato.
Nel 1692, infatti, dall’organico della disciolta Brigata di Gens d’Armes del Piemonte vennero costituiti due diversi Reggimenti, uno dei quali venne in un primo momento denominato Mombrison e poi None, dal nome dei comandanti.
Nel medesimo anno assunse la denominazione di Savoia Cavalleria, dalla regione dove venivano reclutati i cavalieri.
Nel biennio 1692 – 1693 combattè contro i francesi in Piemonte e nel Delfinato.
Venne sciolto nel 1699, ma rapidamente ricostituito nel 1701.
Il Reggimento venne impegnato duramente in varie campagne militari durante la guerra di successione spagnola (1701 – 1713), soprattutto contro le forze franco-spagnole.
In questo periodo sorgono alcune tradizioni che permangono ancora ai nostri giorni.
Durante l’assedio di Torino da parte degli ispano-francesi, durato ben cinque mesi (maggio - settembre 1706) la cavalleria, guidata personalmente dal Duca di Savoia Vittorio Amedeo II, condusse un’abile azione diversiva per distogliere le truppe assedianti dalla capitale, favorendo l’ingresso dei rifornimenti, galvanizzando le popolazioni piemontesi che, nel passaggio delle proprie truppe, ritrovavano motivo di risollevazione morale e materiale.
Era una tattica temporeggiatrice, in attesa dei rinforzi alleati condotti dal cugino del Duca, Eugenio di Savoia, comandante del corpo di spedizione asburgico.
Al suo arrivo iniziava l’attacco alle posizioni di assedio franco-spagnole.
La mattina del 7 settembre 1706, dopo che il tiro delle artiglierie e lo scontro delle fanterie avevano fiaccato la resistenza nei trinceramenti avversari, l’azione decisiva avveniva con lo sfondamento frontale e l’aggiramento parziale delle forze nemiche da parte della cavalleria sabauda.
Durante questa azione vittoriosa i Dragoni di Sua Altezza Reale caricavano al richiamo del Duca "a moi mes dragons!" sul più minaccioso reggimento di cavalleria francese presso Madonna di Campagna e lo costringevano ad una fuga precipitosa, catturando anche i timpani (tamburi da sella) del reggimento avversario, che costituirono simboli di altissimo valore per oltre un secolo.
Grazie a questo successo, Vittorio Amedeo II poteva piombare direttamente alle spalle dei francesi che ancora resistevano validamente nei pressi di Lucento, determinandone la fuga precipitosa verso il Fiume Dora.
Sempre nella stessa battaglia avvenne un altro fatto singolare.
Secondo la tradizione, un portaordini di Savoia Cavalleria, incaricato di recare informazioni sull’esito vittorioso dello scontro, pur gravemente ferito alla gola da un drappello avversario, riuscì a raggiungere Vittorio Amedeo dandogli la notizia prima di spirare.
L’esclamazione del Duca "Savoye, bonnes nouvelles" divenne da allora il motto del Reggimento, così come si vuole che il filetto rosso che borda il bavero nero dello stesso reggimento, o per talune epoche, come l’attuale, la cravatta rossa, non sia altro che il simbolo del sangue che ha arrossato il colletto dell’ignoto portaordini.
Nel corso del ‘700, Savoia Cavalleria partecipò pressochè a tutte le operazioni di guerra nel quale si trovò lo Stato savoiardo, nell’ambito della sua politica di difesa nei confronti delle grandi potenze europee dell’epoca (in primo luogo la Francia) e della sua politica espansionistica nella penisola italiana (1733 –1735 e 1742 – 1748).
Durante la guerra di successione austriaca (1742 – 1748), un contingente di Savoia Cavalleria si distingue durante la battaglia del Tidone, affluente del Po, presso Piacenza, dove il 10 agosto 1746 un distaccamento di cavalleria, composta da 100 uomini di ciascuno dei Reggimenti Dragoni di Sua Maestà, Dragoni di Piemonte e Savoia Cavalleria, in sette cariche successive, sbaragliava l’avversario, catturandone armi e bandiere e meritando l’apprezzamento di alleati e nemici.
Dopo la vittoriosa campagna napoleonica del 1796, il Reggimento veniva sciolto dal giuramento (1798) e passava al servizio della Francia, quale 6º Reggimento di Cavalleria.
Veniva poi disciolto l’anno seguente e ricostituito nel 1815, nell’ambito delle rinnovate forze armate del Regno di Sardegna, con la denominazione di Reggimento Savoia Cavalleria.
Nel 1819 lasciò la specialità della cavalleria pesante per passare alla leggera, con il nome di Cavalleggeri di Savoia.
Nel 1832 riprese il nome di Savoia Cavalleria, fra i reparti di cavalleria pesante.
Il Reggimento prese parte a tutte le guerre d’indipendenza.
Durante la prima guerra d’indipendenza (1848 – 1849) prese parte alla battaglia di Pastrengo (30 aprile 1848), proteggendo il fianco destro dello schieramento sardo, ed alla successiva battaglia di Goito (30 maggio 1848), dove contribuì, in particolare con Aosta Cavalleria, a respingere il tentativo austriaco di aggiramento delle forze sarde.
Partecipò, dopo la ripresa delle ostilità, alla sfortunata battaglia di Novara (23 marzo 1849) che, di fatto, chiuse la guerra.
Nel 1859 partecipò alla seconda guerra d’indipendenza soprattutto con compiti di riserva e di protezione dei fianchi dell’Armata e, poi, prese la denominazione di Reggimento di Corazzieri Savoia.
Nel 1860 riprese l’antico nome di Savoia Cavalleria.
Nel 1866 prese parte alla terza guerra d’indipendenza ed i suoi squadroni caricarono a più riprese durante la sfortunata battaglia di Custoza (24 giugno 1866) per consentire un ordinato ripiegamento delle truppe italiane sconfitte dagli austro-ungarici.
Nel 1870 fece parte del corpo di spedizione che portò all’annessione del Lazio e di Roma.
Nel 1871 prendeva la denominazione di 3º Reggimento di
Cavalleria Savoia, mentre nel 1897 diveniva il Reggimento Savoia Cavalleria (3º).
In quel periodo forniva
contingenti di personale per gli squadroni di formazione impegnati nella campagna di occupazione dell’Eritrea (1895 – 1896).
Durante la prima guerra mondiale (1915 – 1918), il Reggimento inizialmente impiegò soltanto le proprie Sezioni mitragliatrici (la 1497^ Compagnia mitraglieri) appiedata sul fronte dell’Isonzo.
Nell’agosto del 1916 riceveva l’ordine, insieme a tutta la III Divisione di Cavalleria, di puntare sulla conca di Aidussina nell’ambito delle operazioni della conquista di Gorizia.
Nel periodo ottobre – novembre 1917, dopo le tragiche giornate di Caporetto, protesse il ripiegamento di reparti di Fanteria e contribuì notevolmente e ritardare l’avanzata delle truppe tedesche ed austro-ungariche.
Un anno dopo, il 30 ottobre 1918, il Reggimento, alle fasi finali della battaglia di Vittorio Veneto, si lanciava all’inseguimento delle truppe nemiche in rotta: passava i fiumi Piave, Livenza e Tagliamento, spingendosi verso San Martino e Sedriano e catturando interi reparti austro-ungarici impegnati in duri combattimenti di retroguardia.
Il 3 novembre 1918 una pattuglia di Savoia Cavalleria entrava in Udine, mentre il giorno successivo, il giorno dell’armistizio che chiudeva la grande guerra per l’Italia, un reparto del Reggimento giungeva fino a Caporetto.
Il Reggimento ebbe due citazioni nel bollettino del Comando Supremo (i nn. 1264 e 1268) ed una medaglia di bronzo al valor militare.
Nel 1920 acquisì la denominazione di Reggimento Savoia Cavalleria.
Nel 1933 adottò la caratteristica cravatta rossa in luogo della bordatura rossa del bavero.
La drappella del 2º Squadrone di "Savoia Cavalleria" che era appesa alla tromba che suono’ la carica di Isbuschenskij il 24 Agosto 1942 (Villa Cadorna, Pallanza).
Lo scoppio della seconda guerra mondiale vedeva in linea generale le Forze armate italiane notevolmente distanziate sul piano tecnologico rispetto agli Eserciti alleati.
In particolare l’Arma di Cavalleria entrava in guerra sicuramente con estremo coraggio e grande professionalità, ma decisamente con armamento e mezzi molto inferiori alle crescenti necessità belliche.
Con l’esclusione di alcuni reparti che via via vennero costituiti quali gruppi corazzati (es. Cavalleggeri di Lodi, Lancieri di Vittorio Emanuele II), strumento bellico per eccellenza era ancora il cavallo…
Savoia Cavalleria, a partire dalla primavera del 1941, veniva impiegato per l’occupazione della Croazia e, nell’estate del medesimo anno, veniva destinato alla guerra sul fronte russo, nell’ambito della III Divisione Celere e del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.), poi elevato ad Armata (A.R.M.I.R.) comandata dal generale Giovanni Messe.
Vi giungeva dopo un tratto di ferrovia ed autocarrato fino a Botosani, in Romania, ed un’epica marcia di centinaia di chilometri attraverso la Moldavia e l’Ucraina.
Dopo un inverno di continue operazioni, nella primavera del 1942 veniva costituito il Raggruppamento Truppe a Cavallo, comandato dal generale Guglielmo Barbò di Casalmorano e comprendente i Reggimenti Savoia Cavalleria e Lancieri di Novara e il Reggimento Artiglieria a Cavallo.
Quasi all’alba dell’era nucleare gli italiani costituivano una grande unità militare a cavallo, spesso impiegata per ripulire il fronte, con compiti di esplorazione e, soprattutto, per tamponare le falle che si aprivano continuamente in uno spiegamento italo-tedesco troppo ampio.
Paradossalmente, però, le ampie distese di terreno fangoso creatisi con il disgelo primaverile rendevano più agevole l’impiego di reparti a cavallo rispetto a quelli motorizzati e corazzati.
La carica di Isbuschenskij.
A metà agosto 1942 la guerra sul fronte est sembrava vinta dalle forze dell’Asse: i tedeschi avanzavano fino a Stalingrado e verso il Caucaso, mentre
gli italiani presidiavano l’area del fiume Don.
Il Raggruppamento Truppe a Cavallo, dopo una marcia estenuante con temperature giunte fino a 47 gradi, si trovava a Gratschew, un paese cosacco a sud del Don.
L’offensiva sovietica scattò improvvisamente il 20 agosto: i russi passarono il Don e sfondarono il tratto di fronte tenuto dalla Divisione Sforzesca.
Il Raggruppamento Truppe a Cavallo ricevette l’ordine di contenere l’avanzata nemica: in quei giorni i due Reggimenti e le Batterie a cavallo caricarono a più riprese a livello di squadrone.
Successivamente la cavalleria italiana avviava una manovra avvolgente in direzione del Don.
Ed in questi frangenti si inserisce l’epica carica di Isbuschenskij, dal nome di un piccolo villaggio vicino dove in realtà i cavalieri italiani non entrarono mai.
Alle prime luci dell’alba del 24 agosto 1942 Savoia Cavalleria (700 cavalieri), che aveva passato la notte in mezzo alla steppa in quadrato protetto dai cannoni delle Voloire, le Batterie a cavallo, si preparava a riprendere la marcia verso un anonimo punto trigonometrico verso le sponde del Don, la quota 213,5.
Durante la notte tre battaglioni di truppe siberiane (circa 2.500 soldati) si erano portati a circa un chilometro dall’accampamento e si erano trincerati in buche, fra i girasoli, formando un ampio semi-cerchio, da nord-ovest a nord-est.
Attendevano l’alba per far scattare la trappola mortale.
Prima di togliere il campo, però, veniva mandata in avanscoperta una pattuglia a cavallo comandata dal sergente Ernesto Comolli.
Doveva controllare, in particolare, un carro di fieno intravisto la sera precedente.
Alle 3.30 la pattuglia partiva al piccolo trotto.
Fu quasi per caso che un componente della pattuglia, il caporalmaggiore Aristide Bottini, notò, nell’incerta prima luce dell’alba, qualcosa che luccicava fra i girasoli.
Era un elmetto russo, con la caratteristica stella rossa al centro.
In un primo tempo scambiato per un tedesco.
Partiva, quindi, il primo colpo di moschetto che centrava il sovietico e scatenava un rabbioso fuoco di reazione.
Venivano contate sessanta mitragliatrici oltre a mortai ed artiglieria leggera.
Una vera e propria pioggia di fuoco si abbatteva sul quadrato del Reggimento che si apprestava a ripartire; ormai quasi circondato.
Ma la sorpresa durò soltanto un momento.
Venne dispiegato lo stendardo ed il comandante, il colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, con una serie di decisioni prese in base all’esame della situazione, andava a disegnare una delle pagine più gloriose e coraggiose della cavalleria di tutti i tempi.
I pezzi, vecchi ma ben diretti, delle Voloire ed i cannoncini anti-carro avevano iniziato a rispondere al fuoco russo con precisione, ma c’era bisogno di un diversivo.
Ordinava, quindi, al 2º Squadrone, comandato dal capitano Francesco Saverio De Leone, di caricare a fondo i sovietici sul fianco.
In realtà, secondo le testimonianze, sembra che in un primo momento volesse caricare con tutto il Reggimento, con lo stendardo al vento, ma venisse convinto dal proprio aiutante maggiore Pietro de Vito Piscicelli di Collesano a dosare le forze in ragione dell’evolversi della situazione.
Il 2º Squadrone, dopo aver effettuato un’ampia conversione, caricava a ranghi serrati a sciabolate, raffiche di mitragliatrice e bombe a mano: i sovietici venivano colti di sorpresa, molti fuggivano, altri cercavano riparo nelle buche, soltanto alcuni cercavano una coriacea resistenza.
Diversi cavalli e cavalieri erano colpiti, ma lo squadrone ritornava alla carica a fronte inverso.
In quel momento il comando del Reggimento inviava il 4º Squadrone appiedato, comandato dal capitano Silvano Abba, in un attacco frontale per alleggerire l’impegno del 2º Squadrone.
I russi, in buona parte, si sbandavano, ma comunque ancora tenevano il terreno e provocavano sensibili perdite fra le file dei cavalieri italiani.
Veniva, allora, ordinata la carica anche del 3º Squadrone a cavallo, comandato dal capitano Francesco Marchio.
Lo squadrone irrompeva sul campo di battaglia nel mezzo del fronte sovietico, che intensificava la reazione.
Secondo le testimonianze, i cavalli galoppavano furiosamente, talvolta pur feriti, mentre i cavalieri sciabolavano e sparavano coraggiosamente in mezzo ai russi in evidente difficoltà.
Con alcune ulteriori cariche la resistenza dei sovietici cessava, nonostante il soverchiante numero dei mezzi bellici e dei soldati, sconvolti e terrorizzati dall’improvvisa e violenta reazione della cavalleria italiana.
Il bilancio delle perdite, pur doloroso, fu contenuto, da un punto di vista militare: 32 cavalieri morti (dei quali 3 ufficiali) e 52 feriti (dei quali 5 ufficiali), un centinaio di cavalli fuori combattimento.
I sovietici lasciano sul campo 250 morti e 300 prigionieri, oltre ad una cospicua mole di armi (decine di mitragliatrici e mortai, svariate centinaia di fucili e mitra).
L’azione, coraggiosa quanto audace, aveva portato, soprattutto, all’allentamento della pressione dell’offensiva russa sul fronte del Don ed aveva consentito il riordino delle posizioni italiane, salvando migliaia di soldati dall’accerchiamento.
Il Reggimento ebbe la medaglia d’oro allo stendardo, furono concesse due medaglie d’oro alla memoria, due ordini militari di Savoia, 54 medaglie d’argento, 50 medaglie di bronzo, 49 croci di guerra, diverse promozioni per merito di guerra sul campo.
La carica di Isbuschenskij ebbe subito una vasta eco, destando ammirazione anche fra i tedeschi alleati (mai generosi nel riconoscere i meriti italiani) ed i nemici sovietici.
In Italia suscitò vero e proprio entusiasmo, con articoli sulla stampa ed ampie cronache nei cinegiornali Luce.
Ciò, comunque, non impedì la successiva, lenta, ritirata verso le posizioni di partenza, incalzati da un nemico decisamente più forte ed imponente per uomini e mezzi.
Nel 1943 il Reggimento rientrava in Italia e veniva sciolto in Milano dopo le tragiche giornate conseguenti all’armistizio dell’8 settembre.
Nel dopoguerra veniva ricostituito nel 1946 quale Gruppo esplorante 3º Cavalieri,
quasi per cancellare qualsiasi riferimento alla dinastìa sabauda.
Nel 1948 diveniva Gruppo Cavalleria blindata Gorizia Cavalleria.
Il 4 novembre 1958 riassumeva la tradizionale denominazione di Savoia Cavalleria e , esattamente tre anni dopo, riprendeva in uso la cravatta rossa.
Nel 1975 veniva contratto in Gruppo squadroni Savoia Cavalleria e, infine, il 23 maggio 1992, diveniva nuovamente Reggimento Savoia Cavalleria, sua attuale denominazione.
È di stanza a Grosseto.
Nel corso della sua storia al Reggimento vennero concesse, oltre alla medaglia d’oro per la carica di Isbuschenskij, altre due ricompense al valor militare, una medaglia di bronzo per la liberazione di Udine al termine della prima guerra mondiale nel novembre 1918 ed un’altra medaglia di bronzo per le operazioni svolte durante la campagna di
Russia nel periodo agosto 1941 – maggio 1942.
La festa annuale del Reggimento cade, naturalmente, il 24 agosto.
Il diorama.
Il diorama rappresenta un gruppo di cavalieri del Savoia Cavalleria lanciati alla carica ad Isbuschenskij, durante la dura campagna di Russia il 24 agosto 1942.
Compare una piccola "licenza storica": infatti, nella gloriosa giornata della carica lo stendardo non galoppò insieme agli squadroni verso le linee nemiche.
Cavalli e soldatini sono di Strategia e Tattica (IT 1, IT 2, IT 3, IT 4), nota Ditta romana per cui ha mirabilmente preparato i piccoli cavalieri e destrieri lo scultore Francesco Marchesini.
Le pose sono estremamente dinamiche e si prestano a numerose varianti nella disposizione dei "figurini".
I colori utilizzati sono gli acrilici Model con pennelli "tre zero" e "quattro zero", mentre l’ambientazione è ottenuta esclusivamente con elementi naturali: un basamento di roccia, foglie secche, licheni, legno, ecc.
Bibliografia.