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Manente degli Uberti, detto Farinata
"...di statura grande, faccia virile, membra forti, continenza grave, eleganza soldatesca, parlare civile, di consiglio sagacissimo, audace, pronto e industrioso in fatto d’armi", così lo descriveva il coevo Giovanni Villani nella sua Nuova Cronica.
Manente, detto Farinata per via dei capelli biondi, è stato senza dubbio il più famoso membro della nobile famiglia fiorentina degli Uberti.
Fiero della sua appartenenza ghibellina, sarà protagonista della storia toscana del ‘200 e consegnato all’immortalità da Dante Alighieri, avendogli riservato un posto di rilievo nella sua Divina Commedia, prima nel VI Canto dell'Inferno, tra i fiorentini ch'a ben far puoser li 'ngegni e in seguito nel X Canto, tra gli eretici, in particolare tra gli epicurei, che non credono nell’immortalità dell’anima.
Nato a Firenze intorno al 1212, figlio di Jacopo degli Uberti, partecipò agli scontri cruenti fra i guelfi, sostenitori della supremazia papale, e ghibellini, sostenitori della primazia imperiale, per il governo della Città.
Dal 1239 fu il capo riconosciuto dei ghibellini fiorentini e svolse un ruolo fondamentale nella cacciata dei guelfi nel 1248 durante il regime podestarile del vicario imperiale Federico d'Antiochia, figlio naturale dell'imperatore Federico II.
Nel 1251 i guelfi riuscirono a rientrare a Firenze e, a loro volta, esiliarono nel 1258 gran parte dei ghibellini, fra cui gli Uberti, che, si stabilirono a Siena con numerosi altri fuorusciti fiorentini.
L’asilo ai fuggiaschi ghibellini fu la causa della guerra dichiarata da Firenze alla rivale Siena e uno degli animatori della resistenza senese fu proprio Farinata degli Uberti.
La Lega Guelfa, con a capo Firenze, nell’estate del 1260 mosse contro Siena con un poderoso esercito di 30 mila fanti e 3 mila cavalieri.
Siena e gli alleati ghibellini erano molto inferiori di numero (circa 18.000 fanti e 1.800 cavalieri), ma contavano su una determinazione e un’abilità guerresca non comune.
Il 4 settembre 1260 si tenne nei campi di Montaperti lo scontro campale che terminò con "lo strazio e ‘l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso" (Dante, canto X dell’Inferno, versi 85-86).
Farinata degli Uberti fu uno dei principali protagonisti della clamorosa vittoria ghibellina e fu protagonista anche in seguito.
Infatti, nella successiva dieta di Empoli si oppose con fierezza alle insistenti richieste dei rappresentanti di Pisa e di Siena, determinati a voler la distruzione di Firenze.
Riuscì a convincere la gran parte dei ghibellini toscani e Firenze fu salva, come ricordò il coevo cronista Giovanni Villani (Nuova Cronica, Libro VI, Capitolo LXXXI) [1].
Farinata, ormai fra i maggiorenti fiorentini, morì nel 1264 e venne sepolto nella Chiesa di S. Reparata, sopra la quale venne realizzata a partire dal 1296 la fabbrica di S. Maria del Fiore, il magnifico Duomo di Firenze.
Uno dei suoi figli, Lapo, divenne vicario imperiale a Mantova, nominato dall’imperatore Enrico VII. A Mantova e in Sicilia prosperarono suoi discendenti.
Ma Firenze fu molto ingrata con Farinata.
Nel 1283, ritornati al potere i guelfi, divisi in varie fazioni, riesumarono i corpi del condottiero ghibellino e della moglie Adaleta e imbastirono un macabro processo postumo con l’accusa di eresia.
Il processo, condotto dall’inquisitore Salomone da Lucca, aveva esito scontato: i corpi vennero poi gettati nell’Arno e tutti i beni vennero confiscati agli eredi, in seguito esclusi da qualsiasi amnistia.
Le case degli Uberti vennero demolite e l’area venne utilizzata in seguito per la realizzazione della Piazza della Signoria e di Palazzo Vecchio.
Cortile di Michelozzo: stemma degli Uberti, Farinata - esterno Uffizi
Dante e Farinata degli Uberti
Dante ha consegnato Farinata degli Uberti all’immortalità. Benchè avversario politico, ne ha fatto uno dei personaggi principali dell’Inferno nella sua Divina Commedia.
Il X Canto dell’Inferno è incentrato proprio sulla figura di Farinata, posto tra gli eretici epicurei che "l'anima col corpo morta fanno", cioè non credono nell'immortalità dell'anima. Dante accede, quindi, alla tesi dell’eresia, sebbene in realtà si trattasse della semplice contestazione ghibellina della pretesa supremazia della Chiesa in campo politico.
Fra i due avversari politici ha luogo un colloquio sui grandi temi della lotta politica e della famiglia, sulle conseguenze per i figli delle "colpe" dei padri [2].
Dopo uno scambio di battute dai toni accesi, Farinata pronuncia la famosa profezia sull'esilio di Dante in cui è evidente l'amarezza del Poeta, già esule da qualche anno: "Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia della donna che qui regge, (la Luna, n.d.r.) che tu saprai quanto quell'arte pesa".
Il Farinata dantesco è una figura imponente e orgogliosa, fiera anche nel contrastare il destino assegnato ("com'avesse l'inferno a gran dispitto") e l’ingratitudine terrena.
La Battaglia di Montaperti
Lo scontro campale di Montaperti fu un momento della contesa fra Siena e Firenze per l’egemonia in Toscana, inserita nel più ampio conflitto per la supremazia politica fra l’Impero e il Papato.
Nella primavera del 1260 la Lega Guelfa toscana, guidata da Firenze, avviò una campagna di guerra per indebolire Siena quanto più possibile.
Allestito un esercito di circa 30 mila armati, nell’aprile 1260 una prima avanzata giunse fino alle porte di Siena, dove un forte contingente di cavalleria senese rinforzato da 800 cavalieri tedeschi capitanati da Walther von Astimberg e inviati da Manfredi, figlio naturale ed erede dell’imperatore Federico II, deceduto da qualche anno, respinse la puntata offensiva.
La Lega Guelfa tolse il campo ma andò a conquistare Montepulciano (che si arrese in luglio) e Montalcino, lungo la Via Francigena, presa a fine agosto.
Subito dopo era la volta di Siena.
Più di 30 mila soldati guelfi, di cui 3 mila cavalieri, mossero su Siena e il 2 settembre 1260 venne dato l’ultimatum alla città ghibellina.
I Senesi, forti dell’appoggio dei fuorusciti ghibellini fiorentini (fra cui Farinata degli Uberti) e delle altre città in mano alla Lega Guelfa, nonché del contingente di cavalieri tedeschi del re Manfredi, e sostenuti dai soldi prestati dal banchiere Salimbeni (ben 18 mila fiorini d’oro), si raccomandarono alla Vergine Maria e (3 settembre 1260) uscirono dalle porte della città a dar battaglia.
Erano 18 mila, di cui 1.800 cavalieri.
Sul Poggio delle Repole, parzialmente nascosti alla vista del campo guelfo, fecero sfilare - così cita la leggenda - per ben tre volte l'intero esercito davanti alla vista dei nemici facendo indossare ad ogni tornata all'intero esercito le casacche con i colori di uno dei terzi di Siena con la speranza di dar l'impressione che ogni terzo cittadino fosse composto da tanti uomini quanto in realtà era l'intero esercito e impressionare i comandanti guelfi.
La mattina del 4 settembre 1260 le truppe ghibelline, dopo l’incitamento del comandante, il conte Aldobrandino degli Aldobrandeschi, di famiglia feudale maremmana, attaccarono l’esercito guelfo.
La battaglia durava già da parecchie ore e i ghibellini, a dispetto di numerosi atti di valore, iniziavano a perdere terreno a causa del soverchiante numero dei nemici, quando scattò un piano evidentemente preparato nei minimi particolari: davanti a un modesto contrattacco senese guidato dal conte di Arras al grido di "San Giorgio", il fiorentino Bocca di Raniero di Rustico degli Abati che, anche se dietro le schiere degli invasori, era di credo ghibellino, con un deciso colpo di spada, tagliò la mano al vessillifero (Jacopo del Nacca dei Pazzi) che portava lo stendardo della cavalleria fiorentina, facendolo volare a terra.
Al tempo gli stendardi erano di basilare importanza sia per indicare ai militari dove era il loro comandante sia per distinguere tra alleati e nemici (spesso vestiti con gli stessi colori).
Col cadere dello stendardo le truppe fiorentine persero il loro fondamentale punto di riferimento e furono prese dal panico perchè non seppero più dove dirigere il loro attacco.
In questo scompiglio generale, centinaia di ghibellini fiorentini, nascosti tra le fila guelfe, ne approfittarono per scagliarsi ferocemente contro i loro stessi concittadini dell'opposta fazione.
Allo stesso tempo l'esercito senese, anche se esausto e decimato, mosse con inaudita determinazione contro l'oppressore, conquistando una schiacciante e sanguinaria vittoria.
I cavalieri senesi caricarono con disperato eroismo l’oste guelfo.
Fra questi Giovanni degli Urgugieri (che morì in battaglia), Provenzano Salvani, Jacopo del Tondo, Andrea Beccarini, Niccolò da Bigozzi, Giovanni Guastelloni (alfiere del Terzo di San Martino) oltre al comandante generale Aldobrandino degli Aldobrandeschi.
L’epilogo della battaglia s’ebbe intorno al carroccio guelfo-fiorentino, dove il contingente lucchese capitanato da Niccolò Garzoni si difese fino all’ultimo sangue.
La morte del comandante generale dei fiorentini Iacopino Rangoni da Modena segnò l'inizio della rotta dei guelfo-fiorentini che iniziarono a fuggire in varie direzioni inseguiti dai ghibellini decisi a fare quello che poi divenne "lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso" (Dante, canto X dell'Inferno, versi 85-86) che proseguì fino al calar delle tenebre, momento in cui i comandanti ghibellini dettero l'ordine di risparmiare la vita a coloro che si fossero arresi.
La straordinaria vittoria di Montaperti segnò l'apice della potenza militare di Siena e per qualche anno fece pendere l'ago della bilancia della politica a favore dei ghibellini.
Siena, però, venne scomunicata dal Papa con tutti i cittadini.
Così molti stranieri e alcuni capi guelfi d'Italia presero a pretesto la scomunica per non pagare i debiti contratti con i mercanti senesi: specifiche bolle papali di Alessandro IV (1260) e di Urbano IV (1261) sollevarono i cristiani dal pagamento dei debiti contratti con banchieri e mercanti senesi.
Fu conseguentemente inferto un gravissimo colpo all'economia dei singoli commercianti e banchieri e, per riverbero, di tutta la città.
Si salvarono solo i banchieri che operavano con la Camera Apostolica di Santa Romana Chiesa.
Così indebolita, nel 1269 Siena dovette subire una sonora sconfitta a Colle Val d'Elsa, nella quale cadde Provenzano Salvani, uno dei condottieri della vittoria di Montaperti.
La vittoria guelfa restaurò la supremazia fiorentina nella regione.
Il piccolo diorama
Fra la pietra e la vegetazione di Montaperti, ecco la carica di Farinata degli Uberti, capo dei ghibellini fiorentini esiliati a Siena, contro un fante dei Saltarelli, guelfi fiorentini del Sestiere di San Pier Scheraggio.
Un drammatico duello fratricida dove alla galoppata sfrenata del ghibellino si oppone la difesa più chiusa possibile dell’armato a piedi.
Si tratta della trasformazione dei figurini (54 mm) della toscana Pegaso Models del cavaliere di San Giovanni (cod. 54-509) e del cavaliere tedesco con martello da guerra (cod. 54-100).
I colori utilizzati sono gli acrilici Model con pennelli "tre zero" e "quattro zero", mentre l'ambientazione è ottenuta esclusivamente con elementi naturali: legno, pietre, foglie secche, licheni, ecc.
Bibliografia.
Fra i numerosi testi che si occupano della battaglia di Montaperti e del relativo quadro storico si ritiene opportuno segnalare i seguenti: