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Verso la fine della 2ª G.M., dal centro di ricerca di Peenemünde uscirono armi nuove e micidiali che mostrarono l’alto grado di sviluppo scientifico e tecnologico raggiunto dai tedeschi; fortunatamente per gli Alleati, varie cause ne impedirono sia l’impiego su vasta scala che l’ulteriore sviluppo.
Fra quelle realizzazioni (alcune furono la premessa per i successi ottenuti dall’uomo in campo aeronautico e spaziale) ci fu il Rheintöchter, "Figlie del Reno" dal nome delle tre mitiche ninfe d’acqua che compaiono nel ciclo operistico dell’Anello dei Nibelunghi di Richard Wagner.
Era un missile antiaereo a due stadi, progettato nel novembre 1942 dalla Rheinmetall-Borsig e sviluppato via via in tre diverse configurazioni sia per l'esercito (Heer), che per l'aeronautica (Luftwaffe), responsabile quest’ultima della difesa anti-aerea soprattutto durante l'ultimo anno della guerra.
Immagine d’epoca
Lungo 6,25 m, con un diametro di 54 cm era armato con una testata di 150 kg di esplosivo, che veniva fatta esplodere in prossimità del bombardiere nemico tramite un sensore acustico che ne rilevava il rumore dei motori oppure direttamente da terra mediante un impulso radio codificato.
Il missile, una volta lanciato, veniva guidato a vista da terra mediante impulsi elettrici inviati a un ricevitore del sistema di guida che agiva sulle quattro pinne di legno poste a croce sul cono anteriore, orientandole opportunamente sia per la rotazione che per il cambio di direzione.
Il controllo visivo della traiettoria veniva facilitato dalla luce emessa da razzi traccianti montati all’estremità di due delle sei pinne di legno di maggiori dimensioni poste attorno alla base del secondo stadio.
Immagine d’epoca
Il suddetto dispositivo di guida venne eliminato e sostituito nell’ultima versione da un radar di rilevamento: una volta che il missile veniva diretto verso la formazione dei bombardieri nemici, automaticamente si indirizzava verso il bersaglio rilevato.
Il Rheintöchter era una realizzazione notevole per l'epoca: con un motore a combustibile solido di avvio che forniva una spinta iniziale di 45000 Kg/s e un motore di crociera, posto nel secondo stadio con i condotti di scarico posizionati tra ogni coppia di ali, che forniva una spinta di 4000 Kg/s poteva raggiungere i 6 Km di altitudine alla velocità di 250 m/s con la prima versione e 15 Km con l’ultima, con motori a combustibile liquido alla velocità di 200 m/s.
Progettato per garantire la difesa dei principali centri urbani e industriali aveva un raggio d’azione di 40 Km ed era stabilizzato in volo da quattro grandi pinne in legno alla base del primo stadio, unite a due a due da pannelli rettangolari di rinforzo, e da sei pinne di minor dimensione anch’esse in legno poste alla base del secondo stadio.
Fu studiata anche una versione con il pilota, che doveva guidare e dirigere il missile verso la formazione dei bombardieri nemici e una volta "bloccato" in quella direzione si lanciava con il paracadute, similmente alla gestione dell’aereo razzo Bachem-Werken Ba 349 A "Natter", già illustrato precedentemente in questo sito.
Immagine d’epoca: separazione dei due stadi
Come piattaforma, sia di trasporto che di lancio, fu usata la base del cannone antiaereo Flak 41 da 88 mm opportunamente modificata, sostituendo la canna con un corta rampa di lancio.
Fu anche previsto, ma non ulteriormente sviluppato, il progetto di inserire la suddetta base sullo scafo di un carro armato Panzer Sfl.IVc, già predisposto per accogliere il Flak 41 da 88 mm come da sottostante foto d’epoca; ciò per avere una maggior mobilità e permettere così un più rapido e un più agevole dispiegamento dell’arma.
Nonostante le prestazioni molto promettenti, il programma del Rheintöchter fu interrotto alla fine del 1944, dopo aver effettuato un totale di 82 lanci di prova sia dal centro di Peenemünde che dalla base di Libau, entrambe poste sulla costa del Mar Baltico, privando così un’arma letale contro i bombardamenti strategici degli Alleati.
Nel 1945 diversi esemplari furono catturati dall’Armata Rossa e inviati unitamente a un gran numero di tecnici nell’URSS, dove proseguì il programma di sviluppo presso l’Istituto di Ricerca Scientifica n°88 (NII-88 secondo l’acronimo in lingua russa) con il compito di studiare e produrre copia, diventando così il precursore del missile sovietico SAM (Surface Air Missile) e delle successive generazioni di missili.
Immagine d’epoca
Base e centro di ricerca di Peenemünde
Esemplari conservati presso i Musei di
Deutches Museum, Munich
National Air and Space Museum, W.
Il Diorama scala 1:35
Come base di appoggio ho utilizzato un elmetto tedesco d’epoca, reperto che riposava in cantina da più di 60 anni, usurato ed "invecchiato" naturalmente e già mancante dell’imbottitura interna con il relativo soggolo in pelle.
Devo anche dire che questa soluzione non è proprio una mia idea, ma ho visto nel web simili ambientazioni con carri armati e figurini posizionati anche in elmetti degli Alleati, che mi hanno decisamente intrigato.
Desidero anche precisare, per mera coerenza storica, che l’elmetto era sì in uso alla Wehrmacht durante la 2a Guerra Mondiale, ma che, in realtà , é il modello M.16 del 1° conflitto mondiale; infatti, già dubbioso per la sua forma, ho avuto la certezza soprattutto dalle sigle incise al suo interno
che mi hanno permesso anche di risalire al nome del suo fabbricante dell’allora Impero Austro-Ungarico:
Carl August Sholtz, Mateocz Slovakia
il 66 è il numero di taglia, mentre il 22 o 220 inciso sul fondo della calotta è il numero del lotto.
Nella mia ricerca, ho anche appreso che questi elmetti furono riutilizzati e/o ricondizionati in Austria dalla metà degli anni ‘30 dopo l’annessione alla Germania nazista (Anschluss) e destinati ai soldati impiegati nella Wehrmacht.
Venivano smontati completamente in fabbrica, ridipinti a pennello, quindi riassemblati con elementi di diversa provenienza e muniti ai lati di stemmi nazisti o fregi afferenti ai vari corpi/specialità di appartenenza.
M.16 riconvertito nel 1935
Quindi la base della mia ambientazione - fine 1944 - non è incongruente, anche perché i tedeschi negli ultimi mesi di guerra "raschiavano il fondo del barile", impiegando armi e materiali risalenti alla WWI.
Detto questo, ho inserito all’interno dell’elmetto una lastra di materiale edile opportunamente sagomata sulla quale ho steso, testurizzandola con un pennello grezzo per simulare l’andamento del terreno, della pasta acrilica "Terra" dell’Abbiati Wargames e sul lato un rilievo che funge da base per l’albero.
Quest’ultimo, un abete, è un ottimo kit della francese MK35, costituito da una base in ceramica suddivisa in due parti, dal tronco in resina in due pezzi e da tre bustine contenenti dei rami secchi in resina, dei rami verdi coperti da muschio naturale, entrambi da inserire pazientemente nel tronco stesso e delle foglie morte miste a sottobosco vegetale da cospargere sul terreno intorno.
Successivamente ho parzialmente ricoperto il terreno e l’albero a parte con neve artificiale della Woodland Scenics, fissata con lacca di capelli (quest’ultima lascia inalterato nel tempo il colore bianco, a differenza della colla spray).
Piccole quantità di gel acrilico brillante della Vallejo, per simulare l’effetto di neve compressa e ghiaccio, e di sottobosco hanno completato lo scenario.
Come è mia consuetudine ricercare modellini di mezzi militari originali e poco conosciuti, ho individuato e acquistato questo kit della cinese Bronco Models, che ho ritenuto ideale per l’ambientazione che avevo già prefigurato.
Di ottima qualità e precisione sono le stampate in plastica con le relative fotoincisioni, per cui non ho avuto eccessive difficoltà a realizzarlo.
Ho eseguito la verniciatura con il solo utilizzo del pennello, spruzzando dapprima del primer metallico in bomboletta della Army Painter e in successive mani colori acrilici di marche diverse, dando anche l’effetto legno sulle pinne.
Ho notato nella foto d’epoca di inizio articolo, la presenza, appoggiata verticalmente all’arma, di una stadia (asta graduata suddivisa con segni di colore bianco/rosso che veniva impiegata nei rilievi topografici in unione con strumenti ottici) e che ho realizzato con del plasticard, posizionandola poi tra le mani di un figurino.
Dopo una ricerca nel web, sono riuscito a reperire sei figurini di marche diverse, adatti in questo contesto, che ho distribuito nel diorama secondo le loro pose e mansioni che avevo ipotizzato.
L’elmetto, opportunamente inclinato, poggia su un supporto circolare ricavato segando una porzione di un contenitore di plastica trasparente, a sua volta fissato su di una tavoletta in rovere naturale da 35x28x3 cm ricavata da un’anta di legno d’antan, preventivamente preparata e trattata con impregnante all’acqua Syntilor.
Infine, ho completato il diorama inserendo alla base centralmente una lastrina in ottone da 15x3 cm con inciso il nominativo e a un lato ho applicato il distintivo metallico di appartenenza alla Flak; purtroppo è una replica acquistata a Militalia, dove quello originale risultava piuttosto costoso.
Questa invece è l’immagine tratta dal web dello specifico distintivo/badge portato dal personale per l’accesso alla base di Peenemünde.