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Un po’ di storia
Non spaventatevi! Lo so anch‘io che la storia di questo mito vivente e volante dell’aviazione militare richiederebbe ore e ore di tediosa lettura.
Mi limiterò solo a dare sintetici cenni e dire che in piena guerra fredda, se la Russia aveva in qualche modo reso la vita difficile agli aerei spia U2 (vedi l’abbattimento di Powell), si trovò in "braghe di tela" di fronte alla generazione degli SR71 "Blackbird".
Ecco quindi partire la specifica in cui la V-VS chiedeva di progettare un aereo capace di Mach3 con il quale intercettare , inseguire e distruggere la minaccia degli "uccelli neri".
In occidente si seppe che questo mostro volante era stato costruito e che, come spesso accade per le leggende, era capace di cose incredibili: fatto di materiali sconosciuti, dotato delle più moderne elettroniche, in possesso dei motori più potenti e affidabili mai realizzati.
L’America visse nel terrore di questo supercaccia fino al momento in cui riuscì a corrompere un ufficiale pilota dell‘aviazione russa (Victor Belenko) che disertò con il suo foxbat e atterrò in un aeroporto giapponese consegnandosi alla CIA.
Belenko ottenne asilo politico e dollari a volontà mentre il suo aereo fu sbullonato dalla punta del pitot al tappo della valvola di gonfiaggio delle ruote per carpirne i segreti.
Ma i tecnici americani rimasero sconcertati!
Costruito con metalli speciali?
Il mig 25 è per il 70% costituito da acciaio inossidabile saldato e rivettato apparentemente più da un fabbro che da non da un tecnico specializzato.
Elettronica sofisticata?
Valvoloni termoionici facevano capolino dai vani delle avioniche sbudellati.
Motori potentissimi?
Beh, la potenza c’era davvero, solo più tardi si venne a sapere che i piloti di MiG25 avevano l’ordine tassativo di dare 100% di manetta solo per sfuggire ad abbattimento sicuro dato che spingere al massimo comportava l’arrostimento irreversibile dei due propulsori.
Tuttavia furono proprio queste macroscopiche carenze tecniche ad ingigantire il mito del foxbat: l’aereo era più simile ad un dinosauro che ad un moderno caccia ma era comunque letale.
Poteva sfrecciare a mach3 solo a costo della vita e forse non avrebbe mai potuto contrastare gli SR71, ma viaggiando tranquillamente oltre mach 2,5 era praticamente irraggiungibile da qualsiasi aereo da caccia occidentale.
Le versioni del MiG25 furono molte, vediamo le principali:
MiG25 P – la prima versione del foxbat con ruoli di intercettazione.
MiG25 R – Versione da ricognizione fotografica.
MiG25 BM – Versione SEAD per l ‘attacco alle difese aeree nemiche.
MiG25 RB – Da ricognizione elettronica.
MiG25 RU – Biposto da addestramento.
Il soggetto
Chi ha cercato notizie e foto del foxbat sia sui libri che in rete non ha potuto non imbattersi in "RED38".
E’ un MiG25 RBF dalla vistosa mimetica a tre toni (ampie zone di verde scuro e marrone scuro solcate da fasce molto chiare) e dal radio call number "38", ritratto quasi sempre mentre si appresta ad atterrare.
Ne sono rimasto subito conquistato ed è scattata la ricerca delle informazioni.
Se costruire il modello è stato difficile, raccogliere qualche notizia su Red38 lo è stato ancor di più : è certo che operasse nella Germania dell‘Est ed appartenesse al 931° ORAP (gruppo intercettori di eventuali SR71) ma non so in che anno, inoltre frequenti rischieramenti ne rendono incerta la base operativa.
L’insolita mimetica detta "AFGHANISTAN" è stata condivisa da altri aerei sovietici come ad esempio Su25 frogfoot e MiG27 flogger ; nel caso dei MiG25RBF almeno 5 di essi, e tutti del 931° ORAP, ricevettero questa colorazione ed erano: 02024604 "RED59", 02024819 "RED58", 02029095 "RED60", 0202910 "RED62" e 02032317 appunto "RED38".
La livrea risulta costituita da un Dark Green FS34086, da un Dark Brown FS30059 e da strisce più o meno estese di Sand FS30450 o 30313.
Le foto disponibili del soggetto, che sono tutte di profilo (dx e sx) con scarsa visibilità delle superfici superiori, consentono di seguire perfettamente la forma delle zone colorate sui fianchi dell’aereo ma non permettono uguale precisione sul dorso.
Passando le immagini delle zone meno evidenti con un programma di fotoritocco è stato possibile far risaltare le differenti tonalità e ricavare, con buona approssimazione, l’andamento della mimetica anche sulle superfici dorsali .
Il modello
Il kit Revell usato per realizzare il modello ha fama di massacratore di attributi maschili in quanto il lavoro del masterista della casa tedesca ha pesantemente risentito delle scarse notizie e immagini reperibili in passato su questo aereo.
Il contenuto della voluminosa scatola è sconfortante: in una plastica un po’ vetrosa troviamo ali e semifusoliere con pannellature fantasiose e in rilievo, nell’abitacolo è assente qualsiasi tipo di dettaglio, le intake hanno forma sbagliata, niente particolari nei vani carrelli e scarichi motore semplificati al massimo.
E non finisce qui: montando a secco il modello e confrontandolo con disegni in scala si scopre che la pianta alare ha l’angolo di freccia troppo ampio: in poche parole c’è da lavorare duro !
Le modifiche
Iniziamo dalle ali: la foto mostra come sono in origine e come devono diventare.
La modifica comporta l‘asportazione di tutto il bordo d’entrata che verrà ricostruito con strisce di plasticard successivamente stuccate e levigate.
Si inizia poi il lavoro sulle prese d’aria.
All‘esterno si praticano gli scarichi dei by-pass di spillamento aria in eccesso e con plasticard sottilissimo (0,2mm) si ricostruiscono i condotti fino al primo stadio della turbina.
Si interviene pesantemente anche sulle pareti della fusoliera togliendo la parte bombata e aggiungendo una parete piana in plasticard.
L’abitacolo è stato dettagliato con l’aggiunta di fotoincisioni recuperate da fogli della Eduard e dedicati al MiG21PF, notevole è infatti la somiglianza tra molti strumenti dei due aerei.
Il sedile è in resina della Neomega.
Anche il vano e l’apertura di accesso del carrello anteriore sono da rifare: con plasticard da 0,5 si ricostruiscono le pareti e con profilati dello stesso materiale si realizzano le costolature di rinforzo.
I tubi dei circuiti idraulici sono in filo di rame di vario diametro.
A questo punto è possibile chiudere le semifusoliere e si affronta il problema di trasformare il foxbat dalla versione P proposta nella scatola alla versione RBF del nostro amato Red38.
Le differenze subito evidenti tra le due versioni risiedono nella forma del radome,nella bugna inferiore del sistema "doppler" e negli scarichi dei motori.
L’RBF, dovendo contenere quintali di apparecchiature elettroniche in più rispetto al P, è dotato di un muso molto più allungato e appuntito inoltre, su ogni lato, possiede due caratteristici pannelli dielettrici grigi collegati al sistema "elint".
Si impone quindi la necessità di cestinare il radome del kit e provvedere in altro modo: avendo la possibilità di disporre di un tornio avevo in un primo tempo pensato di ricostruire il pezzo partendo da un cilindro in plastica, poi… l‘illuminazione !
Confrontando le immagini del MiG25 con quelle del Su15 Flagon A mi sono accorto che la forma del radome era praticamente uguale.
Un mio caro amico mi ha fornito questo pezzo prelevandolo dalla scatola Trumpeter, ho verificato la compatibilità con il modello e… : MIRACOLO !!
Lunghezza,diametri e forme sono quasi perfetti e dopo piccoli e facili aggiustamenti si può incollare il radome alla fusoliera.
Ora si capovolge il tutto e si ricostruisce il contenitore (bugna) del sistema "doppler": la forma da ottenere è un ovale molto schiacciato e liscio e si comincia con il tracciare la sua pianta sul solito foglio di plasticard da 0,3.
Di seguito tracciamo altre forme simili alla prima ma via via sempre più piccole, le ritagliamo e le incolliamo una sull‘altra fino ad ottenere una bozza che andrà successivamente stuccata e carteggiata fino alla forma voluta.
Il primo step è concluso.
Ora si prende la sezione centrale del kit e si dispone alla giusta profondità un pannello di plasticard con la ricostruzione delle ventole dei motori.
Si tolgono i pietosi pozzetti dei semicarrelli e, come per quello anteriore, si ricostruiscono di sana pianta.
Particolarità di questi vani è che hanno una superficie corrugata ai fini di irrobustire la struttura, in gergo tecnico portano delle "baccellature".
Le ho riprodotte appoggiando un lamierino di ottone da 0,02 mm su una superficie cedevole e lasciandoci sopra dei segni perpendicolari fatti con la punta di una biro.
Con il lamierino così trattato ho rivestito l’interno dei pozzetti ottenendo l’ effetto voluto.
Si possono chiudere i due semigusci della parte centrale di fusoliera e proseguire aggiungendoci la sezione anteriore prima realizzata; qui ci vuole la massima precisione di allineamento!
Basta un decimo di mm di fuori asse e il naso del nostro foxbat punterà vistosamente a destra o a manca.
Quando le due sezioni saranno unite si montano le prese d’aria ricostruendone la base che ospiterà le paratie mobili in posizione aperta e le luci di atterraggio.
E’ in questa fase che si dispongono , con una serie infinita di aggiustamenti, i condotti che dall‘imboccatura delle prese d’aria convergono alla turbina ed è sempre ora che si provvede alla loro colorazione con lo Steel della Model Master.
Fatto questo si montano le ali rispettandone il diedro leggermente negativo (se ne può ricavare l’esatto valore dai disegni dell’aereo visto di fronte) e riempiendo con generose dosi di attack e bicarbonato le fessure che rimangano nella giunzione con la fusoliera.
Con l’aerografo si spruzza del primer nelle zone dove più pesanti sono stati i lavori e si interviene con carta abrasiva umida da 400 per eliminare ogni imperfezione.
E’ il momento di reincidere e rivettare: con i disegni dell‘aereo alla mano si preparano le dime ed ogni sorta di utensile sia in grado di produrre una traccia sottile e senza sbavature sulla plastica.
Con le dime della Verlinden molti problemi vengono risolti con relativa facilità: sono sottili, flessibili, robuste ed hanno un campionario di forme praticamente completo.
Si bloccano con del nastro isolante (ottimo quello da elettricisti) nella posizione giusta e si passa la punta dell’incisore prima con leggerezza, poi marcando con più decisione il segno.
Per tracciare forme più complesse e difficili, leggi: incidere una circonferenza, sono ricorso al nastro delle etichettatrici Dymo o nei casi estremi all‘autocostruzione di dime in lamierino d’ottone.
Quando capita di sbagliare la tracciatura si copre il segno con un velo di attack,si carteggia perfettamente e si ripete l’operazione.
Le centinaia file di rivetti sono ottenuti segnandone la posizione con un compasso a due punte e ribadendoli con una punta da 0,3 mm montata su un trapano a mano.
Sono passati non meno di 15 giorni ed il modello è tutto reinciso: si attaccano le due derive, i piani di coda e la parte posteriore dove andranno collocati gli scarichi.
Quelli del kit sono subito volati dalla finestra ed ho proceduto a ricostruirli in questo modo: trovati tue segmenti di tubo del diametro adatto e lunghi 5 – 6 cm si procede a dettagliare le pareti interne con strisce di plasticard.
Il fondo sarà costituito dalla griglia del postbruciatore e dalla ventola dell’ultimo stadio del motore, con del plasticard molto sottile si ricostruiscono gli ugelli e la struttura dei flabelli più interni a geometria variabile.
Quando il lavoro è finito si può passare subito alla verniciatura: saranno in burned metal della Model Master la turbina ed il postbruciatore e bianco opaco tutto il condotto di scarico cui farà seguito un robusto lavaggio ad olio con terra di Siena bruciata seguito da un ‘atrettanto robusta sporcatura con la fuliggine di una candela raccolta su un piattino ed applicata a pennello.
L’acciaio degli ugelli è realizzato con lo Steel dalla Alclad ; per ottenere un invecchiamento del metallo realistico ho fatto così : dopo aver applicato il colore ad aerografo ed atteso non meno di 6 – 8 ore, vi si depone sopra del nero ad olio prelevato direttamente dal tubetto, si aspetta 10 minuti e si rimuove l ‘eccesso con una pezzetta in microfibra o, dove è necessario, con un cotton fioc.
Così facendo il colore ad olio si lega in maniera non uniforme alla vernice metallica conferendole l‘aspetto usurato che cercavamo.
A questo punto il modello è completo in tutte le sue parti principali, si può passare alla colorazione.
Colorazione
Come ho accennato all’inizio dell’articolo l’andamento della mimetica di questo MiG è stata ricavata da un attento esame delle scarse foto disponibili.
Identico lavoro di indagine è stato compiuto per trovarne i colori.
I toni di verde e marrone sono comuni a molti aerei russi dispiegati nella DDR (ad esempio MiG21, Su25 e Su17) e corrispondono ai seguenti colori che ho utilizzato:
Marrone scuro - Tamya XF64
Verde scuro - Gunze 309
Sand - Gunze 336
Dopo aver mascherato con carta e nastro Tamya le zone da proteggere ho spruzzato con l’aerografo prima il verde scuro, dopo una mezza mano libera, si disegnano i bordi delle vaste macchie in marrone scuro e si riempiono successivamente di colore.
Dopo altri 30 minuti e sempre a mano libera, si tracciano le impegnative fasce color sabbia; qui è necessaria una perfetta diluizione del colore che deve essere abbastanza fluido da scorrere bene nell’aerografo ma allo stesso tempo conservi "corpo" per coprire i colori sottostanti con una sola passata.
La mimetica è finita, il giorno dopo si volta l‘aereo per colorare la parte inferiore che sarà in light grey GS308.
I dielettrici (pannelli laterali, punta e bordo derive) sono in medium grey GS305.
Invecchiamento
Le foto del Red 38 mostrano un aereo con una livrea molto degradata con zone di colore non omogeneo e sbiadito.
Terminata la mimetica,quindi si prendono i colori base, se ne altera la tonalità aggiungendo del bianco e si schiarisce qua e là insistendo dove gli agenti meteo ed i flussi aerodinamici hanno colpito duro.
Le pannellature vengono ripassate con una mina da 0,5 sempre ben appuntita ed i loro bordi messi in risalto con polvere di carboncino applicata a pennello.
Ulteriori applicazioni di polveri di gessetto, nei toni verdi e marroni, su tutta la mimetica completeranno il lavoro.
Decal
Il discorso è molto breve: questo aereo portava solo il codice "38" e le stelle rosse.
Niente stencil e niente numeri di matricola o di reparto, quindi ho recuperato l’occorrente dalla scatola degli avanzi e le ho applicate su un fondo lucido di trasparente Gunze.
La finitura conclusiva è un mixer fatto con 70% di lucido e 30% di opaco Gunze.
Particolari minori
Il serbatoio.
Considerarlo "particolare minore" rispetto alla mole di lavoro richiesta dall’intero modello è corretto, ma vi assicuro che autocostruirlo non è stata una scampagnata !
Due sono stati gli aiuti fondamentali di cui disponevo: i disegni del serbatoio trovati su internet e la possibilità di accedere ad un tornio.
Sono partito da una barra cilindrica in PPH ,un materiale plastico usato nell’industria chimica e di cui non conoscevo il comportamento alle macchine utensili; con i disegni bene in vista, calibro e stecca metrica, ho sbozzato al tornio la sagoma affusolata del pezzo per poi conferire la giusta forma con lima e tela abrasiva.
E’ stato proprio in questa parte del lavoro che sono venute fuori le caratteristiche del pph : molto resistente all’ abrasione e quasi impossibile da levigare perfettamente.
Comunque, per farla breve, sono riuscito dopo lunghe lotte ad ottenere un pezzo decente.
A questo punto,con le misure e le angolazioni ricavate dai disegni, ho provveduto a segarlo in 4 segmenti ed a rimontarlo nella forma corretta.
La verniciatura è in Alluminio Model Master.
Carrelli.
Quello anteriore è stato dettagliato e riprodotto con le ruote sterzate.
I semicarrelli principali, dato il peso non indifferente che il modello esercita, sono stati rinforzati con l’inserimento di un tondino in acciaio e dettagliati con plasticard.
La documentazione
Ho ricavato il 90% delle notizie sul mio aereo da internet mentre la parte cartacea è costituita da un ottimo "Aerofax" di Y.Gordon e da alcuni numeri della rivista AEREI.
Per chiunque voglia dedicarsi alla costruzione di aerei russi moderni questi link non devono assolutamente mancare nell‘elenco dei preferiti:
www.brazd.ru
www.airforce.ru
Conclusioni
Il lavoro più impegnativo da quando mi dedico al modellismo.
Purtroppo qualche errore e imprecisione dovuta alle difficoltà incontrate ci sarà sicuramente ma è realizzando kit simili che si acquisisce esperienza per fare meglio i successivi.
Per chi vuole un po’ di statistica dirò che il tempo occorso a completare questo modello è stato di 360 ore suddivise in 11 mesi.